di Carlo Rognoni
Vi piace la Rai? Guardate i suoi programmi? Oppure cercate di informarmi altrove? Provate a divertirti e ad avere informazioni su altri canali televisivi? Pensate che il servizio pubblico vi serva ancora?
Non tutti sanno che da due mesi è cominciato il count down per il servizio pubblico radiotelevisivo, così come lo conosciamo da una vita. Eh si, perché la RAI – non ho ancora capito se il governo Meloni se ne è pienamente reso conto – ha i mesi contati. Se entro l’agosto del 2025 il governo – Fratelli d’Italia e i suoi alleati. il parlamento, e dunque anche i partiti che oggi sono all’opposizione – non avrà messo in campo una nuova legge, rischia di trovarsi sotto schiaffo da parte dell’Unione Europea.
Si chiama European Media Freedom Act ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 17 aprile. E’ un Regolamento che non richiede di essere recepito da parte dei Parlamenti nazionali. Va applicato e basta. Che cosa dice? Poche cose, ma che rappresentano una rivoluzione. Per l’Italia significa che entro l’8 agosto del 2025 deve rivedere l’attuale legge, nella parte relativa al Servizio pubblico.
Uno dei punti chiave è l’articolo 5 del Regolamento. Sulla sua interpretazione e sulla sua applicazione assisteremo nei prossimi mesi a una serie infinita di dibattiti, di incontri pubblici, di dure e animate discussioni. Dice quello che i partiti destra, ma anche di sinistra, non sono mai stati in grado di garantire. Dice molto banalmente che il Servizio pubblico radiotelevisivo deve essere “indipendente”, non deve dipendere cioè né dal governo né dal Parlamento e che il finanziamento deve essere garantito per evitare che l’indipendenza istituzionale sia limitata da ricatti finanziari.
Peccato che ancora oggi il Servizio pubblico, la Rai, rappresenti il bottino preferito da chi vince le elezioni. Tutti a parole dicono che la più grande azienda culturale italiana dovrebbe garantire ai cittadini un’informazione la più equilibrata e oggettiva possibile. Purtroppo non è così. Viviamo una realtà figlia di mancate riforme, di partiti che a parole magari affermano principi condivisibili ma che nei fatti smentiscono spudoratamente le promesse di cui si ammantano.
Senza una legge di sistema nuova che lo imponga, la libertà di qualunque amministratore delegato oggi scelto dal governo è sicuramente limitata. Non importa quanto sia bravo. Quattro consiglieri di amministrazione scelti da partiti che litigano e che non hanno perso il vizio di farsi sentire non tanto e non solo nella guida complessiva della Rai, ma nella scelta dei singoli dirigenti, nella imposizione di direttori di rete e di telegiornali perché “amici”, perché fedeli”, rappresentano un handicap.
Potrà questo governo – il cui servizio pubblico è stato ribattezzato “TeleMeloni” – avere la forza e il coraggio di fare la riforma di cui parla il nuovo Regolamento europeo? Chi non ci crede alla capacità di Giorgia Meloni di avventurarsi in un grande cambiamento epocale, si sta organizzando. E’ nato un sito internet – www.art5.it – e un’associazione che sta raccogliendo l’appoggio di tanti intellettuali e giornalisti che sono pronti a sfidare qualunque governo sia ancora in carica nell’agosto 2025. Se non avrà fatto una legge che rifletta le raccomandazioni dell’articolo cinque, sarà quella parte della società civile, dei circoli culturali coinvolti, delle sezioni politiche di ogni orientamento, che hanno sposato l’idea di un vero servizio pubblico indipendente, a ricorrere a vie legali, portare davanti al Tar, al giudice civile, il governo, il premier, qualunque sia.
Personalmente sono anche convinto che solo una Rai realmente indipendente potrebbe trovare quella credibilità che sta perdendo e soprattutto quella forza necessaria per essere un’azienda protagonista, centrale all’interno della rivoluzione digitale che. stiamo vivendo. Si pensi, per esempio, all’intrattenimento audiovisivo, Cattura ormai più tempo del lavoro e poco meno del sonno, assorbe tre quarti della rete internet, ridefinisce il ruolo delle nazioni sulla base delle loro capacità di produrre immaginario e di proporlo al resto del mondo. In Europa solo servizi pubblici indipendenti potrebbero cercare di consorziarsi per la produzione di film e serie tv e accettare la sfida con i colossi americani. Il marchio Europa si potrebbe affermare solo se diventasse sinonimo di un modello alternativo a quello americano.
Che cosa spetta l’attuale governo Meloni – che vuole essere moderno e all’altezza dei tempi – per anticipare l’adozione dell’articolo 5 del Regolamento dell’European Media Freedom Act?
Fonte: Secolo XIX
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