di Stefano Balassone
ORF, Österreichischer Rundfunk (la “RAI” austriaca) ha selezionato a fine ’23 uno stuolo di saggisti per indicare il “Futuro del Servizio Pubblico Mediale nella Unione Europea” (ogni Stato affidato ad un autore) a partire dalla condivisione di un fosco panorama in cui:
– la digitalizzazione “è divenuta destrutturazione massiccia dell’economia dei media e della loro stessa percezione”;
– i giornalisti dei Servizi Pubblici sono sotto attacco;
– il finanziamento pubblico è revocato in dubbio:
– i governi abusano del loro potere sulle imprese di comunicazione pubbliche;
– i social media dei giganti globali spingono la presenza pubblica all’irrilevanza nella dieta di comunicazione dei cittadini.
I testi scritti per ORF sono densi di dati e osservazioni interessanti, ma a colpire sono tuttavia un eccesso ed un’assenza:
- L’eccesso sta nel vagheggiare che i Servizi Pubblici fungano da diga allo tsunami disi-para informativo che prorompe da Internet in quanto matrice dello user generated content che di per sé è evento positivo, ma si imbastardisce quando viene sussunto nei parossistici modelli di business delle Big tech e genera la pacchia dell’anonimo e dei robot. I Regolatori Europei potranno, se i rapporti con gli USA lo consentiranno, metterli al bando entrambi, ma fino allora siamo destinati a tenerci il web che c’è senza che i Servizi Pubblici, per post tradizionali e modernamente “Mediali” che siano, possano da se soli depurare la semiosfera disinformativa.
- L’assenza, salvo un paio di sparse citazioni, riguarda il Regolamento Europeo per la Libertà dei Media, sebbene i contenuti in corso di approvazione fossero già noti nei mesi in cui i saggisti incaricati da ORF raccoglievano i pensieri. In particolare era conosciuto il punto fermo dell’articolo Quinto che fissa l’attributo dell’indipendenza, che lo rende “istituzione” invece che “strumento”, come essenziale per l’esistenza stessa di un Servizio Mediale finanziato con denaro pubblico e destinato nel suo insieme alla “missione” che gli è assegnata dallo Stato cui appartiene.
In buona sostanza pare opportuno che i legislatori di ogni Stato e coloro (come Articolo Quinto) impegnati a “incoraggiarli” si concentrino, senza divagare sui catastrofismi del momento, sulla messa a fuoco di credibili modelli di governance indipendente e su profili di “missioni” ancorate alle esigenze d’ogni singolo Paese.
Ciò detto, dalle pagine dello studio ORF emergono quattro distinte situazioni:
- il Belgio, Olanda e Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) sono divisi al loro interno fra comunità di lingua e/o religiose. Qui la sfida vera starà nell’immaginare un’indipendenza super partes o rinunciarvi a favore della frammentazione a pro’ di convivenza. In questo secondo caso i Servizi Pubblici vivranno esclusivamente per l’interno senza mai contemplare avventure sovra statuali.
- i Nordici (Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia, cui aggiungiamo l’Islanda) che formano una sorta di rete sovranazionale in cui collaborano e che li rende attivi nelle dinamiche del mercato globale. Tra quei Servizi sussiste in concreto un “fatto normativo” che li rende resilienti rispetto alle oscillazioni del quadro politico dei singoli Paesi. E qui sta, intanto, il primo tassello dell’indipendenza mentre restano i problemi che possono derivare da attacchi governativi alle fonti di ricavi.
- In Italia, Austria, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Slovenia, Croazia, Romania, Bulgaria, Malta, Cipro, Irlanda, Olanda, Portogallo i Servizi Pubblici sono padroneggiati in esclusiva dal Governo oppure lottizzati anche dalle opposizioni. In entrambe le combinazioni sono finanziati in quanto strumenti di consenso. Questo è il gruppo in cui verrà decisa la partita impostata dal Regolamento Europeo a pro’ del configurarsi di uno spazio di imprenditorialità editoriale (pubblico e privato) di dimensioni continentali;
- Spagna, Francia, Germania, che giocano una partita loro perché hanno forti imprese private e Servizi Pubblici che godono, se non dell’indipendenza formale, certamente di forti margini di concreta autonomia in ragione della funzione che svolgono nella comunicazione globale:
- Il Servizio spagnolo grazie all’esistenza di centinaia di milioni di persone di lingua ispanica latino americane e statunitensi;
- Il Servizio francese per essere parte della grandeur audiovisiva del Paese, che da anni non lesina risorse pubbliche al settore;
- Il Servizio tedesco perché rappresenta (tanto più allargandosi ad austriaci e svizzere tedeschi) la comunità linguistica europea più ricca di risorse, pubbliche e private.
Resta la considerazione che l’Articolo Quinto del Regolamento Europeo apre il sipario allo svolgersi, di una Grande Storia entro una data limite (l’8agosto 2025) in cui immaginiamo alti e bassi, speranze e delusioni in ogni Stato della UE. Di certo si tratta di un passaggio cruciale della Unione Europea, forse il più prossimo, insieme alla difesa comune e all’unione fiscale ancora lontane da venire, al salto di qualità verso una Federazione non poi così dissimile da quella americana. Inutile dire che l’Italia – provenendo dalla vicenda non banale della “lottizzazione democratica” da tempo svuotata di senso politico e vitalità culturale – si troverà a fare da locomotiva o da zavorra, rispettivamente a vantaggio o a danno di sé stessa.