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Liberi media per la libera Europa

Di seguito una nostra sintesi degli interventi dei discussant (Giorgia Serughetti, Marcello Maneri, Giulio Enea Vigevani) 

Milano, Casa della Cultura, 23 Settembre 2024

Giorgia Serughetti (filosofa, UniBicocca)

La battaglia di Articolo Quinto per l’indipendenza del Servizio Pubblico Mediale è strategica per la qualità della democrazia e guarda al di là degli specialisti del settore media.

Le sorti di una democrazia si giocano attorno a due parole chiave: “pubblico” e “trasparenza” perché la vita Democratica è qualificata dall’esistenza di uno spazio pubblico vitale ,nutrito e animato dal pluralismo di visioni capaci di farsi forza politica grazie alla libertà di informarsi, di scegliere di aggregarsi. di esprimersi. Tutti questi diritti sono adesso in discussione.

Norberto Bobbio definì la democrazia come sistema di “potere in pubblico” in cui i governanti prendono le decisioni alla luce del sole e i governati hanno non soltanto il diritto di osservare ma anche il dovere di informarsi per risultare con ciò stesso, cittadini attivi.

E quindi non c’è libertà di opinione che non sia accompagnata al diritto a un’informazione non manipolata., alla effettiva trasparenza dei processi di produzione dell’informazione, a   un’informazione non faziosa, ma tesa all’imparzialità, pluralistica e completa richiamata dall’articolo 5 del Regolamento europeo come dovere di un Servizio finanziato dal contribuente proprio per essere indipendente.

I pericoli per la libertà, l’indipendenza la trasparenza dell’informazione sono oggi per lo più attribuiti ai social media cioè al nuovo che ha messo in forte crisi l’informazione tradizionale. Però l’incontro di oggi sta a ricordarci che concentrare la nostra attenzione sui pericoli della disinformazione o misinformazione dei nuovi media tende a farci dimenticare quanto in realtà si annidino all’interno dei media tradizionali legati a spartizioni di potere più o meno derivante da consenso elettorale.

Stiamo parlando, insomma, di un’urgenza legata all’ inaridirsi delle capacità reattive dell’opinione pubblica per il combinato disposto della frammentazione informativa dei social e della macro tendenziosità dell’informazione mainstream.  

Marcello Maneri (sociologo, Unibicocca)

I media sono ovviamente condizionati dagli interessi dei proprietari, dalle logiche di marketing della pubblicità, dagli interessi stessi degli inserzionisti pubblicitari, dalla fornitura di “notizie” ad opera di fonti “esterne” che perseguono, a loro volta, il proprio interesse. Fra questi, alcuni attori hanno enorme influenza rispetto ad altri e questo si riflette sui contenuti dei mass media e sulla accessibilità a quest’ultimi da parte di chi non è parte dei circuiti consolidati da contratti e prassi.  

Quando l’Unione Europea pensa al modello del mercato per i media è ne espunge il controllo dei governi ci fa un grande favore ma non dobbiamo pensare che questa sia la Panacea per i nostri bisogni democratici.

Effettivamente la rete ha innovato il funzionamento della sfera pubblica rendendo ogni utente produttore di contenuto a più o meno ampia diffusione e ai primi anni 2000 c’era un fortissimo ottimismo. Ma se i nuovi media sono più liberi questa libertà viene pagata a spese del controllo. Ma chi dovrebbe controllare? Le piattaforme si propongono da arbitri, ma esse stesse sono giocatori e la questione è lontanissima dall’essere risolta perché le sue radici sono strutturali e richiede di cambiare paradigmi fondamentali che hanno accompagnato e favorito l’espansione “a bolla” dell’utenza e la dimensione dei ricavi.

Peraltro si è scoperto che il modo in cui i problemi vengono inquadrati sugli stessi social media è molto influenzato dai media tradizionali

In un quadro però in cui la deviazione dei ricavi pubblicitari verso la Rete ha ridotto il numero delle testate e la forza delle redazioni a beneficio dell’ingigantimento delle Pubbliche Relazioni che danno i cosiddetti sussidi informativi cioè propongono nei media notizie preconfezionate in base a interesse privati.

Accanto ai raffinati modi della manipolazione assistiamo a un ritorno in auge del potere del No, cioè della censura. In modo più evidente nei paesi dell’Est europeo, ma anche in tutte le democrazie in crisi. Un fenomeno di “media capture”, cattura dei media da parte dei governi attraverso attori privati formalmente indipendenti, la pubblicità degli enti pubblici assegnata in modo selettivo, l’abuso delle cause e delle querele, la tensione fra l’interesse al carattere pubblico dei procedimenti dei giudiziari e quello degli imputati a non subire processi mediatici. .

Quindi l’Indipendenza della RAI solo un tassello sebbene importantissimo. Perché se è vero come è vero che il solo mercato libero non è una soluzione, occorre prendere atto che la democrazia informativa costa e richiede di sovvenzionare un soggetto di informazione indipendente “per missione”.

Giulio Enea Vigevani (giurista, UniBicocca)

Il Regolamento, formalmente volto a creare standard comuni per le imprese media, è anche e fondamentalmente un tentativo di imporre negli Stati nazionali le regole democratiche necessarie – quanto a comunicazione e Servizio Pubblico – attraverso lo strumento più forte, diretto, immediatamente applicabile, saltando  la mediazione della legislazione Nazionale.

In questo quadro il fatto nuovo è l’attestazione dell’indipendenza del Servizio Pubblico non solo come, non nuova, affermazione di principio, ma perché introduce un giudice. Se oggi un ricorso contro norme di governance che moltissimi ritengono incostituzionale non è praticabile, col Regolamento un qualsiasi giudice italiano può essere chiamato a disapplicare il diritto locale applicando il diritto europeo. E così l’eventuale inerzia della maggioranza di turno e del suo Governo sarà effettivamente aggredibile attraverso lo strumento giurisdizionale.

Un altro passaggio importante dell’European Freedom Act sta nel “considerando “ 10 per cui la Missione del servizio pubblico può essere esercitata solo da un‘emittente che per quella e solo per quella esista. In sostanza la missione è un’identità che in quanto tale non può essere spezzettata tra soggetti privati portatori delle proprie specifiche identità editoriali. Si tratta di una impostazione coerente con la consapevolezza della riaffermata odierna centralità della diffusione erga omnes.

Quanto alla media capture, ne abbiamo una manifestazione nell’alleanza tra governi e piattaforme in cui i primi, preso atto di non avere gli strumenti per esercitare una sorta di controllo delle informazioni in Rete, attribuiscono alle piattaforme il compito di pulirla dalle cose “cattive” o tali denominate dai Governi stessi. E qui è palese la contraddizione con la nostra Costituzione quando prescrive che solo un giudice dopo un processo può sequestrare un contenuto e che deve essere il legislatore a dire attraverso una legge ciò che considera illecito.

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