di Stefano Balassone
La Rai è presa da una tempesta perfetta di scadenze. Il Consiglio di Amministrazione ha terminato a metà luglio il triennio di mandato, e in tempi normali sarebbe stato puntualmente rimpiazzato da un ricambio dei fiduciari di partito che ne occupano gli scranni. Ma siamo già a due mesi di ritardo, mentre incombe l’8 agosto del prossimo anno entro cui, come prescritto dal Regolamento europeo per la Libertà dei Media, la missione di servizio pubblico dovrà essere svolta, in tutti i paesi Ue, da un’impresa indipendente “in senso funzionale ed editoriale”. Cioè indipendente per davvero.
Il che metterebbe fuorigioco fra 300 giorni qualsiasi Consiglio che nel frattempo fosse composto con terminali umani degli equilibri politici delle istituzioni (Camera, Senato, governo) che li scelgono. Per non dire che al medesimo 8 agosto anche le funzioni di indirizzo e vigilanza della apposita Commissione parlamentare cozzerebbero con l’indipendenza della Rai. E intanto saremmo a meno di due anni dal 30 aprile 2027, quando scadrà la concessione del servizio pubblico su cui si basa l’esistenza stessa della Rai. Sicché proprio il CdA lottizzato, e non quello indipendente che dovrebbe essere al suo posto, tratterebbe la questione più essenziale per il senso e il futuro dell’azienda.
Al di là di contingenze politiche, calcoli elettorali, pressioni, suppliche, speranze e timori degli interessi grandi e minimi coinvolti in ogni ondata di lottizzazione, il groviglio è reso complicato dal vuoto di progetti: nessuno dei vari ddl di “riforma” accumulati negli anni in Parlamento è orientato all’indipendenza della Rai, bensì x. Insomma, potrà sorprendere, ma la politica pare impreparata nonostante partiti e governo abbiano seguito e approvato passo dopo passo la genesi e l’emanazione del Regolamento Europeo, ben sapendo che si trattava di una disposizione direttamente esecutiva, che infatti, senza il “recepimento”, è già parte da cinque mesi ormai, del nostro ordinamento giuridico. Quindi da porre in atto a pena di ricorsi giudiziari e costosi procedimenti d’infrazione, tanto più che nessuna forza politica sosterrebbe in pubblico che la Rai le paia bella così com’è: pagata dai cittadini, ma assoggettata e ricattabile dai lottizzanti padroni del vapore.
Qualche lettore si sarà già chiesto, a questo punto, perché mai gli Stati europei – con tante cose da pensare – abbiano varato da Bruxelles una norma che scompiglia i giardini casalinghi della lottizzazione o, in alcuni casi estremi, del dispotismo di governi. La risposta è che l’Unione europea, nel suo insieme, è costretta ad affrontare il problema della scomparsa accelerata delle proprie industrie editoriali da cui le Big Tech d’oltre Atlantico risucchiano i ricavi pubblicitari attirati dai clic a scapito delle copie vendute e delle audience televisive. Nulla possono opporre a questa forza d’attrazione i lillipuziani a misura di singolo Stato; da qui nasce la corsa a istituire un mercato comune dell’editoria, di dimensione continentale, in cui i piccoletti crescano a giganti.
Ma un mercato comune – capace di motivare e rassicurare investimenti colossali – implica che le regole siano ovunque uguali, trasparenti, non inquinate da pratiche autoritarie e sovvenzioni improprie. Ed è qui che sorge la necessità che le 27 “Rai di servizio pubblico” (sempre che ogni nazione voglia esserne dotata) siano imprese effettivamente indipendenti e quindi responsabili a pieno titolo del proprio comportamento negli affari, invece che inquinatrici del mercato a fini impropri. Questione complessa che solo il sistema britannico ha finora risolto, a parere nostro, in modo stabile e convincente.
L’associazione Articolo Quinto
In questo quadro denso di pericoli e opportunità, è stata costituita il 18 aprile scorso l’associazione apartitica Articolo Quinto, l’articolo del Regolamento europeo che prescrive l’indipendenza della Rai. Articolo Quinto, dopo alcuni mesi di arricchimento del numero e delle competenze degli associati, sta organizzando (vedi il sito www.art5.it) una fitta serie di eventi di informazione, formazione tematica e proposta. In spirito apartitico, ma niente affatto anti-politico e anzi con l’intento di fungere nei 300 giorni prossimi da stimolo costruttivo verso il mondo politico chiamato ad attuare il Regolamento Ue. A dispetto, va sottolineato, dello scetticismo comprensibile, quanto facile, verso l’ipotesi che la Rai – tempio pubblico della lottizzazione – sia rifondata come ente indipendente dagli stessi legislatori che l’hanno fin qui diligentemente lottizzata.
fonte: ilriformista.it